Carissime e Carissimi,
Vorrei tediarvi con i muri austriaci, con i piddini tangentati, con il Trump che incontra il celticopadano, persino con le bestie che seviziano pargoli di 6 anni.
Ebbene, non ve ne parlo.
E’ un periodo che sto dipingendo come non mai, e se tolgo il tempo dedicato al lavoro e al sonno, non resta altro.
Mi riprometto di pubblicare un pampleth sul come io riesca a divenire un tutt’uno con la tela, ma soprattutto con il colore, e piu’ precisamente sul come il colore scappi da una tela all’altra; a breve saro’ piu’ preciso.
Fatta la dovuta premessa, per chi non l’avesse ancora letta, riporto qui sotto la lettera che ha ricevuto David, a firma Giuseppe Costigliola, traduttore di fama comprovata.
Lo scrivo subito: io non sarei mai arrivato a cotanta bellezza, quella che vi apprestate a leggere e’ esattamente l’idea che ho sviluppato nell’ultimo mese su La Macchinazione, e l’immenso sig.Giuseppe Costigliola (che adoro senza conoscerlo) me l’ha donata in un piatto d’argento, grazie Giuseppe!!!
“Il film l’ho visto già due volte. E’ difficile per me comunicarle l’emozione che mi procura, senza scadere nell’ovvio e nel banale. Ci tengo innanzitutto a ringraziarla, a nome, se permette, di tutti gli italiani che malgrado tutto, in qualche modo, sperano (se non credono) che qualcosa da fare ci sia ancora in questo purulento paese (come dice il Pasolini scenico a Steimetz in quella memorabile scena), e che l’arte sia, possa, debba essere anche impegno civile e politico, sulle ali della passione. Se anche così non fosse, e la crudissima realtà avesse comunque la meglio in questo mortale duello, è fondamentale che almeno continui ad esistere l’anelito, la tensione, la lotta verso un presente più giusto. Altrimenti siamo davvero tutti perduti, in particolare i giovani che questo sistema, di cui siamo tutti responsabili, non l’hanno creato.
Ho trovato pretestuose alcune critiche al film, anche quelle sbilanciate sul lato meramente estetico. A mio ben modesto parere la forma scelta, il registro narrativo, sono assolutamente consequenziali al contenuto. Innanzitutto, il merito maggiore sta nel non aver girato un film agiografico: era uno dei pericoli per chi, come lei, Pasolini lo ha conosciuto ammirato ed amato. Il pensiero complesso e anticonformista di Pasolini è restituito in tutta la sua immediatezza, per quanto si poteva fare in un film; ma vi sono anche dei momenti in cui si rappresentano criticamente alcuni nodi del suo complesso groviglio civile e politico, come quello sulla scuola, nelle illuminanti scene dell’intervista con il giornalista francese e nel ristorante con il giovane affetto da difetti di pronuncia. Ed affiora in tutto il suo vigore l’afflato civile, l’impegno assoluto, la “bontà” che ha caratterizzato la vita di Pasolini (non a caso avete scelto proprio il brano di dell’orazione funebre di Moravia che parla di un uomo “buono”), che nel privatistico mondo odierno hanno un impatto come di bombe.
Dietro il film si nota una scrittura solida, concreta, una sceneggiatura e un montaggio fluidi, che seguono l’alternanza dei due fili narrativi che inevitabilmente si fondono: la borgata romana con la sua galassia umana e il privato di Pasolini, la sua ricerca inesausta della “verità”. Quel girare poi per primi e primissimi piani, quasi a tentare un lavoro di scavo nelle insondabili profondità psicologiche (nel caso del protagonista, mettendo in rilievo la straordinaria somiglianza tra l’attore e l’uomo reale). La recitazione di notevole immedesimazione dell’ottimo Ranieri, asciutta, quasi dimessa, per niente flamboyant, ritagliata con mano ferma come da un bisturi, e di tutto il cast. La ricostruzione filologicamente accurata degli anni Settanta, pregevole anche per il semplice fatto che si ha l’impressione che lei non abbia girato un film su quel periodo, ma proprio in quel periodo: e questo è davvero prodigioso, visti i miseri esiti di tanta filmografia ambientata in quei lontani eppure ancora così presenti anni Settanta. E tante piccole chicche: l’uso sapiente di una certa simbologia, come la macchie di fango e di sporco sui corpi di Pelosi e dei fratelli usciti da un bagno nel Tevere; la scelta del font da macchina da scrivere nei titoli iniziali, che richiama la macchina con cui Pasolini scriveva i suoi articoli e libri di fuoco; alcune trovate sapientemente cinematografiche, come alcuni dialoghi brucianti e le citazioni da Petri e Volonté; la scelta della colonna sonora con la suite da Atom Heart Mother che si sposa perfettamente con il narrato, con i disegni che fanno da sfondo ai titoli di testa, che paiono rimandare ad una certa classicità con simbologie religiose, come a dire che la vicenda di Paosolini ha un che di cristologico; la bruciante, dolorosa ironia della prima scena, con la voce della radio che riguardo al grande balzo in avanti del Pci nelle elezioni del 1975 dice più o meno: “gli italiani hanno deciso per il cambiamento e non torneranno indietro”…
E poi due scene davvero geniali, che rompono sapientemente con il registro realistico: quella della visione profetica di Pasolini dopo l’intervista in francese, del mondo odierno fatto di servoautomi coi cellulari quasi innestati, elementi di una sterminata matrice; e la pregnantissima scena finale, visionaria rappresentazione della “macchinazione” che ha ucciso non solo Pasolini, ma un certo modo di intendere e vivere la vita, la società.
Quindi, caro David, la ringrazio ancora per il suo film, e spero vivamente di rincontrarla, prima o poi. Anche perché ho la netta sensazione che lei abbia davvero messo a frutto l’insegnamento più profondo di Pasolini: la capacità di parlare al cuore degli altri.”